[…] Dal suo ritorno in Italia, José Mourinho ha monopolizzato il dialogo tra Roma e il calcio alla vecchia maniera, sfidando in avanzata e ridendo in arretramento. […] È sempre stata la sua modalità d’azione, solo che a Roma , mia percezione di uomo senza coraggio (ma di fatto non ho mai avuto l’occasione di dirglielo in faccia), ha leggermente esagerato, trasformando le partite della Roma in una questione personale contro il mondo arbitrale. Lo ha fatto alla maniera degli spaghetti western, dove il brutto era l’arbitro, il buono era la squadra e il cattivo era lui. […]
Mai, come nella sua esperienza romana, il portoghese si è comportato come un uomo in fuga, alla ricerca di una vetta imprendibile. Nessuno a coprirgli le spalle, a tamponare le rincorse degli altri, né la società, sempre zitta come se parlare fosse volgare, né il direttore sportivo, portoghese come lui eppure poco affine nei sentimenti e nelle scelte. […] E così, capo di un popolo, Mourinho ha pensato che per vincere qualcosa bastasse portare avanti una specie di “lotta di classe” , usando gli arbitri come sagoma del potere, trascurando il gioco, anzi restandone vittima lui stesso. […] Ci mancheranno i suoi discorsi ora che ne restiamo orfani, lasciandoci distratti dentro una selva oziosa di parole.
(Il Foglio – A. Bonan)